In ricordo di Mauro Crocetti


Mauro Crocetti (9 Agosto 1957 - 8 Novembre 2007)

Mauro fu il mio migliore amico ai tempi del liceo, poi, come spesso accade, le nostre strade si separarono e ci perdemmo di vista.

L’occasione per scrivere questo articolo, a quattro anni dalla sua morte, è stata una sua commemorazione alla scuola di musica CAM di Firenze qualche giorno fa (il 13 Novembre 2011) alla quale i suoi genitori hanno donato gli strumenti e altro materiale musicale di Mauro. Io ho preferito non partecipare di persona a questo incontro ma questo evento è stato l’occasione per ripensare a quegli anni. Quello che stò scrivendo è quindi la mia personale commemorazione di Mauro e ricostruzione di quel periodo.

Eravamo compagni di banco al liceo scientifico Leonardo da Vinci e sicuramente non eravamo degli studenti modello. La votazione finale, alla maturità, fu 36/60 per me e 37/60 per Mauro. Stavamo nell’ultimo banco e ricordo dei giorni in cui uscivo da scuola con le mascelle doloranti da quanto ridevamo (mai più successo dopo quel periodo, con l’eccezione, forse, della prima volta che vidi Frankestein Junior al cinema Universale a Firenze). Avevamo altre cose più importanti della scuola a cui pensare, sopratutto la musica!

Fummo molto legati sopratutto negli anni della terza e quarta liceo (1973 - 1975), gli anni più spensierati della mia vita. Eravamo pieni di sogni come tutti gli adolescenti e avevamo la fortuna di poterli coltivare.

Non contenti di vedersi sei giorni alla settimana a scuola ci vedevamo anche il settimo giorno (invece di riposare). Di solito il punto di ritrovo era il bar Deanna in Piazza Stazione perchè gli autobus con cui arrivavamo in città (Mauro da Scandicci e io da Campi Bisenzio) avevano il capolinea lì. Mauro, a differenza di me, non era una persona molto puntuale. Qualche volta succedeva che non si presentasse proprio all’appuntamento, allora io lo chiamavo a casa così magari scoprivo che lui si era addormentato dimenticandosi che avevamo fissato di vedersi. Ciò nonostante continuavamo a vederci, segno che eravamo davvero amici. Non dubito che anche io avessi i miei punti deboli, ovviamente. L’ho chiamato al telefono così spesso in quegli anni che mi ricordo ancora il suo numero di allora (256308). Camminavamo per ore per il centro parlando, presumibilmente, di musica.

La scoperta del jazz fu un percorso abbastanza lungo. Avevamo cominciato sentendo i gruppi della West Coast americana tipo Jefferson Airplane, Hot Tuna, Quicksilver Messenger Service e Grateful Dead, da lì passammo al rock progressivo inglese tipo Yes, Genesis, Gentle Giant, Strawbs, King Crimson, poi arrivammo al “Canterbury rock” di Gong e Henry Cow e fatale fu l’incontro con i Soft Machine (visti a Firenze nel 1974). Quello fu l’anello di congiunzione che ci portò dal “jazz rock psichedelico” al jazz. Quando ci addentrammo in quella zona partimmo dall’avanguardia e non fu facile. Ricordo il primo disco che comprai di John Coltrane (Impressions) col lunghissimo pezzo iniziale (India) che all’inizio mi lasciò molto perplesso. E da lì seguì una valanga di dischi. A Firenze c’era il mitico Diskemporium che vendeva dischi e trenini elettrici in Via dello Studio, ma noi ogni tanto andavamo anche da Nannucci a Bologna in treno (ricordo l’eccitazione quando trovai l’originale Solid State di “Now he sings, now he sobs” di Chick Corea), ricevevamo pure il catalogo di Nannucci per posta e durante le ore di scuola lo consultavamo e poi facevamo ordini. Qualche volta siamo stati anche alla Dimar di Rimini (dove io trovai i Blue Note originali di Unit Structures a Conquistador di Cecil Taylor). I dischi poi ce li scambiavamo e li duplicavamo su cassetta. In questo gruppo di “lavoro” e di condivisione c’era anche Diego Carraresi con cui formavamo un trio molto affiatato. Anche Diego era al liceo ma un anno avanti a noi. Sentivamo della musica che oggi avrei enormi difficoltà a digerire: i dischi della Byg Actuel registrati al festival pan-africano di Algeri del 1969, Cecil Taylor (che era il mio idolo) e tanti altri. Vedemmo Cecil Taylor nel 1975 all’anfiteatro delle Cascine con Andrew Cyrille e Jimmy Lions. Io mi ero messo accanto al pianista e sentii, quando Lions gli chiese com’era il pianoforte, che lui rispose: “terrible”!
Dall’avanguardia cominciammo lentamente un percorso a ritroso che ci portò ad ascoltare hard bop, cool jazz e indietro fino al be bop degli anni ’40.

Cominciammo a suonare nello stesso periodo, io il pianoforte e Mauro il basso elettrico. Ricordo le vesciche sulle sue dita prima che si formassero i calli.
Iniziammo a suonare insieme con Diego ai fiati e Guido Pratellesi alla batteria (il gruppo si chiamava “Assemble Permanente”, un nome azzeccato se si inquadra il periodo storico in cui gli avvenimenti qui narrati si svolsero) poi arrivò Lorenzo “i’secco” Lazzeri alla batteria che poi fu sostituito da Alessandro “Fabbrino” Fabbri (il nome del gruppo, nel frattempo, era cambiato, adesso eravamo l’ “Azzibibbo quartet”!!!)
Il primo strumento di Mauro che ricordo era un basso elettrico semiacustico che aveva sverniciato e riverniciato con un colore chiaro. Sul corpo dello strumento c’era l’immagine di un martello perchè, come aveva scritto Majakovskij: "L'arte non è lo specchio in cui riflettere il mondo, ma un martello per scolpirlo". Una frase del genere adesso può far sorridere ma allora...
Uno dei suoi primi modelli di bassista fu Hugh Hopper dei Soft Machine mentre io adoravo Mike Ratledge (il tastierista dello stesso gruppo).
Mauro poi passò al contrabbasso e si iscrisse al conservatorio Cherubini, studiando con Brandi. Ricordo l’elastico che si metteva, all’inizio, per tenere uniti medio e anulare della mano sinistra. Non si diplomò ma gli servì sicuramente (è colpa sua se ho un disco con dei concerti per contrabbasso e orchestra di Giovanni Bottesini!).
Un contrabbassista che lo colpì fu Glen Moore che suonava negli Oregon, un grande gruppo antesignano della world music (io ho ancora Distant Hills del 1973, un gran disco).
Provavamo in uno scantinato vicino a Piazza Puccini, condiviso con altri gruppi e utilizzato anche per altre attività extra musicali (mi pare che il posto fosse stato battezzato “lo scannatoio”!!!).
Per un certo periodo provammo a casa di Diego. Non capisco come, sia i genitori di Diego che i loro vicini di casa, potessero sopportarci. Ci fu anche una big band di cui facemmo parte che provava in uno scantinato di via del Corso per la quale io scrissi qualcosa (forse un arrangiamento di Blue Monk) ma non durò molto per dissapori vari.

I concerti che vedemmo in quegli anni furono innumerevoli: ricordo che nel 1974 andammo a Umbria Jazz per sentire il gruppo di Charles Mingus (era appena uscito “Changes One” ). A quei tempi i concerti a Umbria Jazz erano gratuiti e attiravano molti personaggi folcloristici oltre a jazzofili. Dormimmo nella sala d’aspetto della stazione di Perugia col sacco a pelo, per terra, circondati da sbronzi di tutte le risme.
Nel 1976 andammo al festival di Bergamo, in treno, per sentire Sam Rivers, ma nella stessa serata suonarono anche Lee Konitz con Warne Marsh e altri, tra i quali credo ci fosse anche Anthony Braxton. Dopo una scorpacciata di musica allucinante tornammo in stazione ma la trovammo chiusa e scoprimmo che il primo treno partiva verso le 6 della mattina (una notte all’addiaccio, qualcuno di noi cercò di raggomitolarsi in una cabina telefonica nel tentativo di riposarsi ma fu un disastro ed era inverno!).
Un’altra volta, mentre stavamo andando ad un concerto di Gato Barbieri a Lucca, fusi il motore della mia Fiat 500 che lasciai a Montecatini ma il concerto lo vedemmo ugualmente perchè salimmo sulla macchina di altri amici. Non è che tutti i concerti includessero un contorno di disavventure simili, è solo che quelli sopravvissuti “nella franosa geologia della mia mente” (per citare Guido Morselli) dopo tutti questi anni, sono quelli più epici.

Ma a Firenze in quel periodo c’era anche un gruppo musicale che si chiamava N.E.E.M. (Nuove Esperienze Eretico Musicali) con Edoardo “Dado” Ricci e suo cugino “i’Donnini” (accomunati da un inconfondibile timbro di voce) e altri, che andavamo a sentire qundo capitava. Erano veramente dei “guastatori sonori” come ho letto su internet. I loro spettacoli erano anche multimediali visto che proiettavano filmati autoprodotti mentre sul palco succedeva di tutto. Da morire dal ridere!
E noi eravamo in quel filone lì, diciamo “free jazz”, mentre c’erano i jazzisti fiorentini più ortodossi (senza fare nomi) che non ci potevano vedere (e noi non sopportavamo loro), ma ora è tutta acqua passata, ovviamente.
Anche noi, poi, cominciammo a suonare gli “standards”.

Alla festa dell’Unità nazionale del 1975 al parco delle Cascine “i’secco” ci fece conoscere delle ragazze che “facevano teatro” e studiavano all istituto d’arte (roba da mandare un adolescente di allora “in brodo di giuggiole” ).
Il primo di Novembre di quell’anno ero con Mauro quando le vidi passare mentre noi eravamo seduti sugli scalini della chiesa di San Lorenzo. Chiesi a Mauro se gli andava di andare a salutarle, lui mi disse di no, ma io insistei e per farla brevissima una di loro due, Marina, diventò la mia ragazza e poi mia moglie (con cui sono tuttora sposato). Quello fu un giorno memorabile anche perchè nella notte fu ucciso Pier Paolo Pasolini.
L’arrivo delle “ragazze” scombussolò l’equilibrio della nostra amicizia che non fu mai più la stessa.

Mauro decise (nel 1976, credo) di provare ad andare a Londra a lavorare ma non durò molto. La sera prima che partisse festeggiammo con altri amici e io ero così ubriaco che non riuscivo a guidare. Marina, che aveva il foglio rosa, non vide due ragazzi in motorino e li centrò mandandoli all’ospedale. Quando arrivarono i vigili ero perfettamente sobrio e gli dissi che ero io alla guida. Tornammo a casa io e Diego con la già citata Fiat 500 in pessime condizioni. Entrava solo una marcia ma non mancammo di notare quanto questo facesse molto “On the road” di Kerouac. Quando Mauro tornò da Londra ci raccontò di aver lavorato in un ristorante vestito da antico romano!
Continuammo a suonare insieme fino ai primi anni ’80 ma c’era già stata una pausa per il servizio militare e nel frattempo erano successe altre cose che avevano fatto divergere le nostre strade senza che ci fossero stati motivi di attrito personale causanti questo allontanamento.
L’ultima volta che lo vidi da vivo fu nel dicembre del 1987 a casa di Diego. Io ero andato a studiare musica elettronica al Berklee, a Boston, l’anno prima e quell’anno eravamo tornati (io e Marina) a casa per le feste. Mauro era parecchio ingrossato per via di antidepressivi che stava prendendo.

Per venti anni non ci siamo più visti nè sentiti. Nell’autunno del 2007 avevo appena conseguito una laurea di secondo livello al conservatorio Cherubini in musica e nuove tecnologie. Avevo inviato “urbi et orbi” un messaggio di posta elettronica per annunciarlo e Diego mi rispose che il giorno prima Mauro era morto per un tumore al midollo osseo. Mi dispiacque molto non averlo potuto salutare da vivo così andai a salutarlo alla chiesa dove era esposta la salma. I genitori non mi riconobbero lì per lì, ma mi riconobbe suo fratello Paolo che disse a sua madre: “oh mamma, è Carlo!”. Allora lei mi abbracciò e mi disse che quelli passati con noi erano stati gli anni più felici della sua vita ed è probabile che avesse ragione perchè avrei potuto dire altrettanto, per lo meno furono i più spensierati. Notai i capelli ancora castani di Mauro mentre i miei erano già assai brizzolati. Sua madre mi disse che aveva superato i suoi problemi di depressione ma purtroppo ne erano subentrati altri.

Da allora ho pensato spesso a Mauro, di come le sue fragilità potevano essere le mie e di come eventi che, nel momento che avvengono, appaiono effimeri e privi di possibili conseguenze possano risultare, sulla lunga distanza, fondamentali perchè una vita vada in una direzione invece che in un’altra.

p.s.
grazie a Diego per avermi aiutato a ricostruire alcuni degli avvenimenti qui riportati.


Commenti:

Alessandro "fabbrino" Fabbri:
carissimo Carlo,  
è un bellissimo ricordo: commovente, divertente ed asciutto. E sono onorato di averne condiviso una piccola parte.  
Chi lo sa... forse questo tuo scritto potrebbe essere di stimolo anche per altri, amici e musicisti fiorentini, per ricordare. Non era forse il Vernuccio che diceva di voler fare un "libro" sul jazz a Firenze di quegli anni?  
ciao  
a.


Luigi Pellissetti:
Ciao Carlo,  
girovagando sulla "rete", non so bene come,  
sono capitato nel tuo "ricordo di Mauro Crocetti".  
Mi ha fatto piacere leggere quello che hai scritto.  
Mauro l'ho conosciuto nel 1984 ai seminari che si  
tenevano nell'ambito di Umbria Jazz.  
I corsi erano tenuti da insegnanti della Duke  
University, seguivo quello di chitarra jazz  
con in grande Kevin Eubanks.  
Eravamo alloggiati, piuttosto alla buona,  
in un appartamento dietro la bellissima piazza  
di Perugia dove si tenevano i concerti più  
importanti.  
Nel 1973, in quella stessa piazza, ascoltai  
un meraviglioso concerto di piano solo  
di Keith Jarrett.  
Ricordo che eravamo due percussionisti  
di Rovigo, un sassofonista (Nevio)  di Udine, una  
sassofonista (donna) di Roma, un sassofonista  
(Piero) di Roma e due contrabbassisti toscani.  
Mi ricordo dei due contrabbassisti (Lello e Mauro)  
perchè avevano due valigione con tutto il necessario  
per fare da mangiare......quindi mi unii a loro perchè  
erano simpatici e "alla mano".  
Uno si chiamava Raffaello Pareti, l'altro Mauro  
Crocetti.  
Ho spesso pensato a questi incontri, ma non ho  
mai avuto più notizie.  
Rileggere il tuo racconto mi ha fatto ricordare  
quel periodo...  
Cordialmente, dal Friuli.  
Luigi  
   
p.s. ultimamente tramite Riccardo Galardini, chitarrista di Prato,  
      che suona con Ivano Fossati, anche lui presente a quel  
      seminario del 1984, ho saputo che Mauro era mancato....  
   
p.s. 2 vorrei solo aggiungere una piccola cosa: senza farmi vedere da Mauro e Lello avevo sbirciato dentro a queste ingombranti valigie  
         piene di adesivi che davano un'aria "vissuta" ai proprietari......avevo notato che all'interno vi erano 2 fornelli, insomma poi, fatta  
         amicizia chiesi il perchè di 2 fornelli!  Risposta: uno per il sugo e uno per la pasta......elementare watson...elementare  
   
        Saluti dal Friuli!  Luigi